Quando si chiede a un pellegrino jacopeo la ragione ultima del proprio andare, ci si aspetterebbe una risposta pronta e sicura. Per affrontare a piedi un viaggio lungo e faticoso, lontani dal proprio mondo, andando coscientemente o meno contro le aspettative condivise della fruizione del tempo libero oggi in auge, si suppone una ratio profonda e cosciente a giustificazione di tanta "follia".
Le risposte sono, invece, deludenti per chi è desideroso di catalogare questa sorta di "anormalità sociologica" con una definizione accomodante. Prima di partire i pellegrini sembrano anime in pena che vanno consolati. Non sono oppressi dal timore del lungo e inusuale viaggio, ma sembrano turbati dall'ignoto che li attende. Tutto, in principio, appare a loro estraneo: i paesaggi, i luoghi, la lingua o, meglio, le lingue parlate, le persone con le quali condivideranno qualche settimana della loro vita. Per lo più ignoto a loro stessi è anche il motivo del partire. "Non so perché, ma parto. Con molto timore ma con tanta gioia nel cuore".
Le risposte sono, invece, deludenti per chi è desideroso di catalogare questa sorta di "anormalità sociologica" con una definizione accomodante. Prima di partire i pellegrini sembrano anime in pena che vanno consolati. Non sono oppressi dal timore del lungo e inusuale viaggio, ma sembrano turbati dall'ignoto che li attende. Tutto, in principio, appare a loro estraneo: i paesaggi, i luoghi, la lingua o, meglio, le lingue parlate, le persone con le quali condivideranno qualche settimana della loro vita. Per lo più ignoto a loro stessi è anche il motivo del partire. "Non so perché, ma parto. Con molto timore ma con tanta gioia nel cuore".
Chi sperasse poi, al ritorno, di scucire loro una risposta questa volta più consapevole e convincente, rimarrebbe ancora una volta deluso. "Non so perché l'ho fatto, ma sono felice di averlo fatto": è il racconto del pellegrino. Allora, se davvero si vuole cercare la ragione che muove tanti cercatori a viaggiare, la curiosità devi cedere il posto all'attenzione. Con le parole, con i gesti, con i ricordi il pellegrino di tutto parla, tranne che di se stesso. Evoca luoghi, persone, altri modi di rapportarsi che, pian piano, vanno a scalfire le corazze nelle quali si nascondono goffamente le certezze condivise o inculcate ma mai sperimentate o vissute sulla propria pelle. Il racconto del pellegrino, ormai da secoli, incanta e suscita in chi lo ascolta un naturale desiderio di purificazione e di verità che ha come presupposto l’uscire da sé. Ed è nel desiderio di questo primo passo che ci si riconosce pellegrini, anche oggi e, forse, con rinnovata intensità proprio nell'epoca in cui “conta solo ciò che si può contare”, che è circoscrivibile e materiale.
La scoperta di nuovi spazi, di nuovi orizzonti e di nuove prospettive che si possono percorrere, contemplare, assaporare nel silenzio, senza l'ossessione di dover necessariamente tentare di tradurre un'esperienza in espressioni codificabili o in comportamenti omologati, restituisce al pellegrino un naturale senso di libertà, il terreno privilegiato dove ritrovarsi dopo una vita vissuta in una prospettiva alienante.
La scoperta di nuovi spazi, di nuovi orizzonti e di nuove prospettive che si possono percorrere, contemplare, assaporare nel silenzio, senza l'ossessione di dover necessariamente tentare di tradurre un'esperienza in espressioni codificabili o in comportamenti omologati, restituisce al pellegrino un naturale senso di libertà, il terreno privilegiato dove ritrovarsi dopo una vita vissuta in una prospettiva alienante.
"Il pellegrino non misura la distanza ma è la distanza che misura il pellegrino": è un antico detto del cammino che bene esprime la "rivoluzione" che sulle strade che portano a Santiago di Compostela ogni viaggiatore vive con fatica, con dolore ma con la consapevolezza che su quella polvere e su quel fango si svela e si rivela la propria persona.
È questo lo stile che vogliamo dare al nostro pellegrinare. Per questo andremo “abbandonando” a casa due strumenti quotidiani come il cellulare e l’mp3 con gli auricolari.
Ultreya, don GB :-)