Quando si chiede a un pellegrino jacopeo la ragione ultima del proprio andare, ci si aspetterebbe una risposta pronta e sicura. Per affrontare a piedi un viaggio lungo e faticoso, lontani dal proprio mondo, andando coscientemente o meno contro le aspettative condivise della fruizione del tempo libero oggi in auge, si suppone una ratio profonda e cosciente a giustificazione di tanta "follia".
Le risposte sono, invece, deludenti per chi è desideroso di catalogare questa sorta di "anormalità sociologica" con una definizione accomodante. Prima di partire i pellegrini sembrano anime in pena che vanno consolati. Non sono oppressi dal timore del lungo e inusuale viaggio, ma sembrano turbati dall'ignoto che li attende. Tutto, in principio, appare a loro estraneo: i paesaggi, i luoghi, la lingua o, meglio, le lingue parlate, le persone con le quali condivideranno qualche settimana della loro vita. Per lo più ignoto a loro stessi è anche il motivo del partire. "Non so perché, ma parto. Con molto timore ma con tanta gioia nel cuore".